Spesso sfruttato da persone che vogliono seguire la moda, ma hanno un budget limitato. Il Fast Fashion rende la moda facilmente accessibile, ma ha un effetto negativo sull’ambiente e su coloro che lavorano per produrre i capi. Il Fast Fashion permette di creare fino ad 11 collezioni l’anno, ciò vuol dire che ogni 2 settimane circa vengono creati e immessi sul mercato nuovi prodotti.
Il capo deve acquisire perciò un valore che passa attraverso la creazione di un legame con chi lo acquista. Lo Slow Fashion tiene in considerazione i materiali utilizzati, come viene prodotto il capo e da chi.
Tuttavia le abitudini di acquisto dell’abbigliamento, oggi, sono più allineate ai dettami del Fast Fashion. Sono passati i tempi in cui si acquistavano gli abiti in accordo con il budget mensile, in armonia con le stagioni; i tempi in cui i capi venivano tenuti con cura e aggiustati quando ce n’era bisogno. Oggi si è quasi consumatori compulsivi e talvolta si acquistano capi che non saranno mai indossati.
Scegliere di saltare sul treno dello Slow Fashion sembra dunque ovvio, tuttavia non è una scelta così facile come può sembrare.
In ballo ci sono implicazioni morali ed economiche.
Il movimento “Who Made My Clothes”, nato dopo la tragica data del 24 Aprile 2013, quando 1133 persone morirono nel crollo del palazzo di Rana Plaza, a Dhaka, in Bangladesh, si impegna a far luce su quanto accade dietro la produzione degli abiti che indossiamo.
Il movimento è nato dalle menti di Orsola de Castro e Carry Somers che hanno dichiarato “Alla luce di questo disastro causato dal Fast Fashion, era necessaria una rivoluzione nel mondo della moda.”
La loro missione era convincere tutti i membri dell’industria della moda, dai designer, ai produttori, ai fornitori, ai distributori e agli acquirenti a lavorare assieme per cambiare il modo in cui i capi sono prodotti e venduti. L’idea di fondo è che si venga a creare una vera e propria “catena dell’eticità” che attraversa tutto il processo produttivo dei capi, seguendo questi punti:
Il movimento Slow Fashion incoraggia a riconoscere che le nostre scelte collettive possono influenzare l’ambiente e le persone.
Ridurre lo sfruttamento delle materie prime, diminuendo la produzione di abiti può favorire le capacità rigenerative della terra.
I produttori di Slow Fashion si sforzano di mantenere la diversità ecologica, sociale e culturale. Mantenere vivi i metodi tradizionali di fabbricazione di indumenti e tessuti e le tecniche di tintura, conferisce vitalità e significato a ciò che indossiamo e al modo in cui è stato realizzato.
I marchi si impegnano a supportare le comunità locali permettendo lo sviluppo di competenze e aiutando il commercio locale.
I designer possono soddisfare i bisogni umani co-creando capi e offrendo moda con significato emotivo, raccontando la storia dietro un capo o invitando il cliente a far parte del processo di progettazione.
Costruire relazioni tra produttori e co-produttori è funzione fondamentale del movimento.
I marchi di Slow Fashion si concentrano sull’utilizzo di materie e risorse locali quanto più possibile e cercano di supportare lo sviluppo di attività e competenze locali.
Gli stilisti di Slow Fashion assicurano la longevità dei loro capi acquistando tessuti di alta qualità, offrendo tagli tradizionali e creando pezzi belli e senza tempo.
I prezzi sono spesso più alti per permettere ai produttori l’utilizzo di risorse sostenibili e il pagamento di salari equi.
All’interno del movimento Slow Fashion, le persone amano ciò che fanno e aspirano a fare la differenza nel mondo in modo creativo e innovativo.
L’abbigliamento Inkanti è prodotto esclusivamente in lana naturale di baby alpaca, senza aggiunta di fibre sintetiche. I capi sono realizzati nel territorio in cui gli alpaca vivono e pascolano, nutrendosi della vegetazione spontanea.
L’alpaca inoltre è un animale che non arreca danno al territorio in quanto bruca l’erba senza danneggiare le radici e i cuscinetti che ricoprono gli zoccoli permettono all’animale di camminare sul terreno senza comprometterne l’integrità.
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